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La Psicoanalisi Interpersonale


Psicologo Firenze | Dott. Cosimo Santi | Psicoanalisi Interpersonale

La psicoanalisi è una teoria sul funzionamento della mente ma è anche stata la prima forma di psicoterapia basata sull’uso della parola. Sigmund Freud la inventò alla fine dell’ottocento per superare i limiti e i fallimenti che le precedenti terapie, una su tutte l’ipnosi, riportavano frequentemente nella cura dei pazienti nevrotici. Nei suoi primi cinquant’anni è rimasta una disciplina relativamente omogenea e i suoi successivi sviluppi furono, a parte alcune celebri scissioni come quella di Jung, Adler e poi Ferenczi e Rank, un progressivo approfondimento e una verifica generale delle idee del suo padre fondatore.

Negli ultimi quarant’anni la psicoanalisi si è notevolmente differenziata dalla teoria freudiana classica. Si è assistito ad un grande fermento sociale e culturale che ha radicalmente modificato le precedenti concezioni di mente, di psicopatologia e di trattamento. A partire da critiche su aspetti sia teorici che metodologici della teoria freudiana, vi è stata un’evoluzione che ha portato a nuove e numerose scuole di psicoanalisi. La prima corrente alternativa che ruppe esplicitamente i legami con le premesse di base del modello freudiano fu la Psicoanalisi Interpersonale.

La scuola di pensiero che oggi viene rubricata sotto la definizione di tradizione interpersonale deriva dal filone di studi pionieristici inaugurati da H.S. Sullivan nell’America del Nord dei primi anni trenta e che trovano radicamento in Europa nel secondo dopoguerra. Inizialmente non si costituisce come teoria unificata e integrale, ma come insieme eterogeneo di approcci alla teoria e alla pratica clinica che poggiano su un punto di partenza comune: la convinzione che la teoria classica fosse errata nelle sue premesse di base sulle motivazioni umane, sulla natura dell’esperienza, sulle difficoltà del vivere. Condividevano anche il presupposto che fosse necessario non sottovalutare l’impatto del più vasto contesto sociale e culturale sullo sviluppo della personalità e del disagio psicologico.

Le figure chiave di questo movimento come Harry Stack Sullivan, Erich Fromm, Karen Hornay e Clara Thompson contribuirono alla ridefinizione di una nuova concezione della mente umana fondata sul comune modello strutturale delle relazioni. La concezione freudiana della mente prevede un apparato psichico che tende all’istintiva scarica pulsionale, cioè all’appagamento incondizionato dei propri desideri compresi quelli sessuali e aggressivi di origine infantili, carichi di angoscia e inaccettabili dalla propria coscienza, che si scontra con le regole e con le esigenza della realtà esterna generando conflitti e sofferenza psicologica (nevrosi). Il modello interpersonale poggia invece sull’idea di una mente la cui funzione principale è quella di formare e perseverare i legami con le altre persone significative: la mente è costruita socialmente e si sviluppa all’interno di un campo interattivo in cui l’individuo nasce e lotta per stabilire contatti con gli altri e per esprimersi.

Corollario a questa posizione è che la psicopatologia viene principalmente attribuita a deprivazioni e deficienze nelle cure genitoriali precoci (il così detto fallimento ambientale) che vanno da sottili fallimenti empatici a pesanti trascuratezze, da occasionali rifiuti a veri e propri abusi diretti. A questo riguardo viene rivalutata la teoria del trauma, dove il grado della “lesione psicologica” varia lungo dimensioni sia quantitative che qualitative.

Tali divergenze teoriche trovano espressione diretta nella tecnica terapeutica adoperata durante il trattamento.

L’analisi del transfert (fenomeno clinico che prevede la riattivazione di conflitti centrati sul rapporto di amore e odio verso il proprio analista) viene ancora oggi considerato il pilastro dell’analisi ma è stato rivalutato alla luce dell’intuizione di H.S. Sullivan sulle inclinazioni partecipatorie dell’analista e dei loro usi potenziali nel processo terapeutico. In altre parole l’analista non può più essere considerato il neutrale e oggettivo “schermo bianco” sul quale il paziente proietta le proprie difficoltà e distorsioni affettive, coltivando l’illusione che il terapeuta non venga mai coinvolto emotivamente dalle dinamiche dell’analisi. Al contrario il terapeuta viene inevitabilmente invaso da produzioni affettive proprie (controtransfert) che riguardano la relazione specifica con quella persona e ciò costituisce materiale fondamentale per l’individuazione e la comprensione dei problemi portati dal paziente.

L’evoluzione nella clinica psicoanalitica promossa dalla tradizione interpersonale nasce quindi dal concetto di partecipazione controtransferale, cioè dall’idea che l’incontro tra due esseri umani generi in entrambi grandi produzioni soggettive: stati d’animo, sentimenti, fantasie e pensieri che devono essere riconosciuti e gestiti affinché il terapeuta riesca ad usare in modo adeguato se stesso per aiutare il paziente.

Bibliografia.

Hirsch I. (1995), Handbook of interpersonal psychoanalysis. Analytic Press, Hillsdale 1995

Sullivan H.S. (1954), Il colloquio psichiatrico. Feltrinelli, Milano 1967.

Thompson C.M. (1950), La terapia. In: La tradizione interpersonale, a cura di: Conci M. Erre Emme, Roma 1997.

Thompson C.M. (1964), Psicoanalisi interpersonale. Bollati Boringhieri, Torino 1972.

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