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Dalla Regolazione Affettiva al Trauma Relazionale.


Psicologo Psicoterapeuta Firenze

Mary Cassatt, Woman sitting with a child in her arms. Bilbao Fine Arts Museum 1890.

La moderna teoria dell'attaccamento ha fatto propri, continuandone la ricerca teorica, gli assunti fondamentali del progetto originario di John Bowlby (1969), Mary Ainsworth (1978) e di Mary Main (1982) volto a definire le possibili articolazioni e integrazioni, anche in chiave operativa, tra psicologia, psicoanalisi e biologia.

Secondo autori come Danile Hill (2015) e Allen Schore (2003) questo evoluzione nella prospettiva di ricerca è oggi possibile grazie all'applicazione della neurobiologia alle teorie classiche dell'attaccamento.

Questo allargamento del sostrato teorico permette di definire quali siano le strutture neurologiche e le dinamiche psicobiologiche coinvolte nella così detta regolazione affettiva, cioè i modi con i quali reagiamo alle nostre emozioni e moduliamo i nostri stati d'animo, collegandone lo sviluppo alle prime esperienze di interazione del bambino con la madre.

Schore (2003) avanza l'ipotesi di un periodo critico nella crescita del sistema primario di regolazione affettiva che inizia in epoca prenatale e prosegue fino ai 16-18 mesi di età: nel corso di questo periodo si assisterebbe a uno scatto di crescita neurologica, in cui si sviluppano circuiti neuronali in grado di mettere in comunicazione aree distinte del cervello (come il sistema limbico con l'asse ipotalamo-ipofisi-surrene) tali da permettere al bambino di valutare e confrontare gli affetti a base corporea con le informazione di tipo socioemozionale e iniziare così a sviluppare la capacità di regolazione affettiva. L'organizzazione di questo delicato tipo di integrazione dipenderà, in buona parte, dalla qualità delle relazioni di attaccamento che il piccolo ha nel suo ambiente affettivo.

Dalla regolazione affettiva al trauma relazionale.

Come spiega Hill (2015) la capacità di regolazione affettiva è al centro dell'esistenza di ogni essere umano. “Quando l'affetto è regolato, siamo al nostro meglio rispetto all'adattamento, all'autocontrollo, all'impegno. Siamo vigili e pronti a utilizzare tutte le nostre risorse. Giudichiamo le nostre azioni basandoci sulla nostra esperienza precedente grazie alla possibilità di attingere a ricordi pertinenti […] La nostra capacità di riflettere sulla nostra vita mentale è, se necessario, disponibile. Abbiamo una sensazione di fondo di padronanza di noi stessi. Siamo disponibili alla connessione interpersonale, al gioco e all'esplorazione. Ci sentiamo bene. Quando l'affetto è regolato, ci troviamo in uno stato omeostatico, funzioniamo in maniera ottimale. Gli stati affettivi regolati si presentano allorché ci sentiamo sicuri” Hill (2015, p.15).

Al contrario, in uno stato affettivo disregolato, le persone sono insicure e perdono la loro autenticità nelle relazioni interpersonali. Si crea un distacco tra l'esperienza che gli individui fanno di loro stessi e degli altri, poiché la capacità riflessiva diminuisce e le rappresentazioni diventano meno accurate. In questo stato: “la flessibilità di risposta è sostituita da automatismi. La spontaneità è sostituita dalla reattività” Hill (2015, p.15).

Secondo l'autore, la nascente capacità di auto-regolazione del bambino riflette la regolazione affettiva dei genitori e vi si adatta. Il ruolo essenziale della figura di attaccamento consiste proprio nel permettere al piccolo di fare ripetute esperienze di transizioni riuscite di regolazione affettiva: “i genitori dovrebbero essere capaci di mantenere il proprio stato di regolazione affettiva per regolare i propri figli in maniera competente e allungare la durata del tempo trascorso in stati che favoriscono la crescita” (Hill, 2015 p.17).

Quando un bambino viene trascurato e va incontro a una continua disconferma della sua esperienza emotiva, quando interi aspetti del suo Sé sono esclusi dalla relazione con l'altro significativo, si ha quello che Schore (2003) definisce “trauma relazionale”.

Il trauma relazionale.

Il trauma relazionale può essere considerato come l'esposizione a stati cronici di trascuratezza e disregolazione affettiva nel contesto della relazione di attaccamento precoce. Schore lo considera un trauma invisibile, non chiaramente evidente e che solo recentemente è stato oggetto di studi empirici (Lyons-Ruth, Jocobovitz, 1999).

Hill (2015) scrive a proposito del trauma relazionale: “quando è in cerca di regolazione affettiva, il bambino incontra risposte che, invece di modulare la sua disregolazione, la intensificano. La figura di attaccamento è priva della capacità emozionale sufficiente a regolare il bambino. Lo stressor è la relazione, che porta a sviluppare ansia sociale generalizzata e relazioni di attaccamento disturbate” (Hill, 2015 p.128).

Hill (2015) propone un interessante modello della psicopatogenesi, in cui i diversi tipi di attaccamento insicuro osservati nei bambini sono considerati come strategie che anticipano e prevengono la disregolazione affettiva dell'adulto.

Secondo questa prospettiva, traumi relazionali di tipo diverso portano il bambino a sviluppare disturbi di regolazione affettiva e stili di attaccamento di tipo diverso come il trauma evitante, quello preoccupato e quello disorganizzato. Vediamoli in dettaglio.

Trauma evitante.

I bambini con attaccamento evitante sperimentano relazioni con adulti che, quando sono in stati affettivi disregolati, vanno incontro a ritiro emozionale.

In queste situazioni l'adulto diventa insensibile, prova vergogna e disgusto nei confronti dei bisogni di attaccamento del piccolo. Per lui è difficile unirsi alla gioia del bambino, partecipare al gioco e condividere i momenti di allegria: piuttosto reagisce alle richieste con stordimento e disimpegno.

La vergogna viene inflitta al piccolo in maniera rigida e severa, scoraggiandolo a manifestare qualsiasi tipo di affetto, sia positivo che negativo.

Il bambino sviluppa quindi una risposta adattiva che lo protegge dal ritiro emozionale dell'adulto: si comporta in modo evitante, anticipando il senso di rifiuto e di vergogna che proverebbe nell'interazione. Crescendo, diventerà sempre più difeso nei confronti di emozioni quali rabbia, gioia e orgoglio, arrivando persino a sviluppare la paura di esserne travolto. Questo importante deficit nella regolazione affettiva può creare uno stato d'angoscia molto potente e diventare un tratto centrale della personalità.

Trauma preoccupato.

I bambini che manifestano un attaccamento preoccupato sono generalmente esposti a un ambiente affettivo imprevedibile, vibrante e privo di contenimento.

Gli adulti con una carente regolazione dei propri stati di eccitazione trattano il bambino come se fosse una fonte di rassicurazione: fanno intrusione nella quiete del piccolo ricercando quelle rassicurazioni che non sono in grado di trovare in loro stessi. Ad esempio: ”quando il bambino ha bisogno di distogliere lo sguardo per regolare il proprio livello di ansia, il caregiver preoccupato può vivere come abbandono l'allontanamento dello sguardo e può quindi disturbarlo intrusivamente. Invece di essere incoraggiato a sviluppare procedure di autoregolazione, il bambino è soggetto alle pressioni del caregiver che gli chiede di soddisfare i propri bisogni” (Hill, 2015 p.137).

Pur essendo emozionalmente sensibile, l'adulto è disponibile in maniera incoerente. Questo produce nel piccolo una profonda angoscia di abbandono che nel tempo lo porta a sviluppare ipervigilanza nei confronti degli altri e a instaurare relazioni interpersonali invischiate e altamente ambivalenti.

Trauma disorganizzato.

Secondo Hill (2015), i genitori che nella loro infanzia hanno sofferto di abusi o gravi trascuratezze, sono maggiormente esposti al rischio di abusare o trascurare i propri figli. Questi adulti sono privi della capacità di processare la vergogna e sono inclini a sperimentare episodi estremi di rabbia e depressione, in loro è assente ogni capacità di auto/etero regolazione affettiva.

Quando sono sotto stress, i genitori “disorganizzati”, possono diventare spaventati o spaventare, inducendo in entrambi i casi intensi stati di terrore. Il bambino si trova così alle prese con una figura di attaccamento che è allo stesso tempo fonte di salvezza e di pericolo.

In questo modo il piccolo vive una situazione cronica di paura senza via di scampo, sviluppando dissociazione cronica come unica modalità di difesa.

Molti autori come Fonagy (2002), Holmes (2003) e Liotti (2000), hanno osservato una sorta di continuità tra lo stile di attaccamento dei bambini esposti a traumi relazionali disorganizzati e lo sviluppo del disturbo borderline di personalità negli adulti. In entrambi i casi sono frequenti improvvisi viraggi verso stati affettivi estremi e durevolmente disregolati, nonché tendenza a entrare in stati dissociativi gravi.

Obiettivi terapeutici.

La teoria della regolazione affettiva proposta da Schore (2003) e Hill (2015) sostiene che il trauma relazionale abbia esito principalmente nella carente regolazione dell'intensità degli affetti e nella difficoltà a passare da stati disregolati a stati regolati. Questa condizione porterebbe a vissuti di vergogna pervasiva, dissociazione cronica e ansia sociale: in altre parole si avrebbe un arresto dello sviluppo del Sé.

L'obiettivo della psicoterapia che parte dagli assunti della teoria della regolazione affettiva, mira quindi a ripristinare lo sviluppo del Sé riparando le carenze del sistema primario di regolazione. Ciò è possibile attraverso esperienze di regolazione affettiva con il proprio terapeuta: generare fiducia, rendere coscienti gli affetti dissociati, promuovere un senso di sé valorizzato e avere aspettative positive, sono punti centrali nell'azione terapeutica proposta dagli autori.

Bibliografia

Ainsworth, M. (1978). Patterns of attachment. A psychological study of Strange Situation. Erlbaum, Hillsdale (NJ).

Bowlby, J. (1969). Attaccamento e Perdita, vol.1: L'attaccamento alla Madre. Bollati Boringhieri, Torino 1983.

Fonagy, P. (2002). Relazione affettiva, mentalizzazione e sviluppo del Sé. Raffaello Cortina, Milano 2005.

Hill, D. (2015). Teoria della regolazione affettiva. Un modello clinico. Raffaello Cortina, Milano 2017.

Holmes, J. (2003). Borderline personality disorder and the search for meaning, in: Australian Journal of Psychiatry, 37. pp.524-531.

Liotti (2000). Disorganized attachment, models of borderline states evolutionary psychoterapy, in: Genes on the Couch. Routledge, New York, pp.232-256.

Lyons-Ruth, K. Jocobovitz, D. (1999). La disorganizzazione dell'attaccamento, in: Manuale dell'attaccamento, pp. 768-804. Giovanni Fioriti, Roma 2010.

Main, M. (1986). Avoidence of the attachment figure in infancy: description and interpretations. Basic, New York.

Schore, A.N. (2003). La regolazione degli affetti e la riparazione del Sé. Astrolabio, Roma 2010.

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