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ATTACCO DI PANICO dalla COMPRENSIONE alla CURA


Psicologo Firenze Dott. Cosimo Santi

Pan, divinità pastorale greca, viveva nei boschi ed era temuto dai viaggiatori ai quali appariva all'improvviso suscitando subitanei terrori. La paura improvvisa, priva di una causa visibile e nettamente individuabile, era ascritta a Pan e chiamata "timor panico" o semplicemente panico, termine rimasto nell'uso delle lingue occidentali.

L'attacco di panico consiste in una temporanea condizione di intensa sofferenza psicologica e somatica. Oltre al senso soggettivo di terrore e alla soverchiante sensazione di morte imminente, le persone che soffrono di disturbo da attacchi di panico lamentano potenti sintomi fisici quali: vertigini, tremori, soffocamento, tachicardia ecc..

Poiché gli attacchi sono ricorrenti e apparentemente scollegati dagli eventi psichici e ambientali che li precedono, spesso portano le persone a sviluppare una forma di ansia anticipatoria, una costante preoccupazione circa il prossimo attacco che potrebbe sopraffarli, influenzando gravemente la qualità della loro vita.

L'attacco di panico viene generalmente rubricato dallo psicologo, insieme alle fobie, alle compulsioni ossessive e alla condizione da stress post-traumatico, nei disturbi d'ansia.

L'ansia è uno di quegli affetti che hanno avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della clinica e della teoria psicoanalitica. Freud (1925) definì l'ansia come una reazione di allarme di fronte a un pericolo inconscio e quando questo segnale non riesce ad attivare le adeguate risorse difensive ne deriva paura e senso di impotenza, cioè il panico.

Il problema è capire quale sia la minaccia che attiva il sistema dell'ansia, visto che la persona si sente indifesa rispetto a un pericolo proveniente dal proprio psichismo e dal proprio corpo.

Sappiamo oggi (Bleichmar, 2008) che la potente ansia legata all'attacco di panico è la conseguenza di due possibili condizioni. La prima riguarda il vissuto soggettivo di abbandono, reale o immaginario, da parte di un oggetto, cioè una persona o una sua astrazione, fino ad allora percepito come protettore. La seconda riguarda la perdita di fiducia nell'oggetto o nella sua capacità di affrontare diversi tipi di minacce.

Queste condizioni generano l'autorappresentazione di essere impotente e indifeso, incapace di affrontare la realtà, di essere minacciato da qualsiasi cosa persino dalle sensazioni provenienti dal corpo. Nonostante la mancanza di condizioni oggettive esterne, il mondo viene progressivamente percepito come luogo pericoloso e inospitale, si attivano così potenti inibizioni e le situazioni dalle quali è difficile o imbarazzante allontanarsi vengono accuratamente evitate.

Nella psicoterapia psicoanalitica attuale il focus dell'intervento terapeutico è centrato sulla comprensione del senso di impotenza e di come questo si colleghi al vissuto soggettivo di abbandono.

Possiamo osservare che il sentimento fondamentale di essere capaci di affrontare i diversi pericoli che la realtà e la fantasia generano dipende dall'ambiente affettivo nel quale l'uomo è cresciuto (Winnicott, 1965).

In questo senso il carattere stesso di una persona può essere inteso come un'organizzazione difensiva, reattiva, di fronte all'impatto di una realtà traumatizzante Ferenczi (1932), Balint (1968), Kohut (1971).

Il sentimento di potenza ed efficacia, dipenderà allora dall'identificazione con genitori che possiedono queste capacità e dal modo con cui questi si rappresentano la potenza del figlio (Bleichmar, 2008).

Pur senza generalizzare, dobbiamo riscontrare che una configurazione familiare più volte osservata in pazienti con crisi di panico (De Masi, 2004; Milrod, 2001) comprende da una parte una madre terrorizzata e dall'altra un padre potente, minaccioso e soggetto a scoppi di violenza.

In queste situazioni i figli vedono il padre attraverso lo sguardo terrorizzato della madre, per cui l'uomo diventa per il bambino una figura minacciosa. Si instaura così una simbiosi difensiva tra la madre e il piccolo, una sorta di alleanza che diviene per entrambi un rifugio di fronte al persecutore. Date queste condizioni, qualsiasi esperienza di separazione dalla madre o dai successivi sostituti (come il partner o una situazione considerata garanzia di sicurezza) farà sentire il soggetto in pericolo e riattiverà il vissuto di impotenza, provocando la crisi di panico.

Il compito della psicoterapeuta sarà quello di ristabilire il senso di potenza nell'individuo. Senso che probabilmente è sepolto sotto un'intera vita fatta di messaggi squalificanti, esperienze traumatiche e timori riguardo al proprio Sé perché investito da senso di colpa, vergogna o senso di persecuzione.

Poiché la parte più importante della psicoterapia si svolge nel contesto di una relazione interpersonale, sarà fondamentale rivivere all'interno della coppia terapeuta-paziente le paure di abbandono e dipendenza, esprimere la rabbia e il bisogno di difendersi dalla propria rabbia, ammettere l'intenso desiderio di riparazione e il sentimento di accettazione.

Riscoprire il proprio senso di potenza diviene allora possibile grazie a una progressiva revisione della propria storia in cui viene ridata la parola alla memoria e ripristinata la verità, aprendo così il campo a nuove possibili modalità di reazione emotiva.

Bibliografia

Balint, M. (1968). Il difetto fondamentale, in: La regressione, Cortina: Milano, pp. 117-315.

Bleichmar. H. (2008). Psicoterapia Psicoanalitica. Astrolabio: Roma.

De Masi, F. (2004). The psychodynamic of panic attacks, in: International Journal of Psychoanalysis, n. 85, pp. 311-336.

Ferenczi, S. (1932). Confusione di lingue tra gli adulti e il bambino, in: Opere vol. 4, Cortina: Milano.

Freud, S. (1925). Inibizione, sintomo e angoscia, in: Opere vol. 10, Boringhieri: Torino.

Kohut, H. (1971). Narcisismo e analisi del Sé. Boringhieri: Torino

Milrod, F. (2001). A pilot open trial of brief psychodynamic psychoterapy for panic disorder, in: Journal of Psychoterapy Research, n.10, pp. 239-245.

Winnicott, D. W. (1965). Sviluppo affettivo e ambiente. Armando: Roma

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