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Narcisismo patologico e amore.


Narcisismo patologico e amore

Può un narcisista patologico amare?

Questa domanda mi viene spesso posta da persone che arrivano a consulto dopo aver interrotto, o in procinto di interrompere, una relazione con un partner narcisista. Individui in cerca di senso, bisognosi di capire come e perché “il sentimento oceanico” (così Freud descriveva l’amore nel 1931) sia naufragato sul terreno arido della vergogna, dell’umiliazione, dell’inferiorità o della colpa.

La prima risposta che potrei dare è che il narcisista patologico, per definizione, non può amare e non può innamorarsi, decretando in modo sbrigativo il fallimento di ogni relazione in cui si riscontri tale patologia di personalità.

Ma in realtà le cose sono molto più complesse: la psicopatologia narcisistica, inserita in una dinamica di coppia, si manifesta in vari modi e si realizza attraverso un “interscambio di aspetti di personalità di entrambi” (Kernberg, 1995, p.165) come in un mosaico le cui tessere sono poste le une accanto alle altre da entrambi.


In questo breve articolo cercherò di sintetizzare le caratteristiche ricorrenti delle relazioni d’amore incentrate sul narcisismo patologico, di uno o di entrambi i partner, sperando di dare qualche spunto di riflessione a quei lettori che pensano, o che ne hanno la certezza, di trovarsi in situazioni analoghe.


Riprendendo la domanda iniziale, credo sia più corretto rispondere che anche il narcisista patologico può instaurare legami, ma nel farlo usa un sistema di significati tipico del narcisismo (Bleichmar, 1997) per cui tutte le cose, incluse le persone, vengono riportate su una scala di valore in cui il soggetto può considerarsi superiore o inferiore: il partner viene dunque scelto in base alla bellezza, alla ricchezza, al potere o alla fama, ricercando quindi quegli attributi che suscitano l’ammirazione e l’apprezzamento degli altri, seguendo una logica utilitaristica piuttosto che un vero interesse per la personalità dell’altro (Kernberg, 2012).

Proprio la mancanza di curiosità per la vita interna del partner, unita all’assenza di empatia, porta il narcisista a considerare la compagna o il compagno come uno spettatore, un estimatore della sua superiorità, al quale richiede avidamente lodi incessanti.

Se questo non avviene, cioè se l’altro non accetta il ruolo subordinato o addirittura riscuote un inatteso successo al di fuori della coppia, allora tutto ciò che di buono c’è in lui viene svalutato dal narcisista patologico con invidia rabbiosa. Tipicamente, qualsiasi dipendenza viene negata: la normale reciprocità delle relazioni sentimentali viene vissuta come uno sfruttamento o come un’invasione. Per il narcisista la relazione diventa fonte di limitazioni o di noia e prevale la fantasia di essere costretto o imprigionato dall’altro.

A tale proposito Kernberg, massima autorità nella clinica dei disturbi gravi di personalità, afferma che il narcisista sostituisce il bisogno di essere amato con il bisogno di essere ammirato, vivendo così una sorta di auto-isolamento affettivo in cui: “la dipendenza da un oggetto d’amore diventa impossibile (…) nei narcisisti prevale il timore di essere a loro volta sfruttati e rapinati di ciò che hanno e quindi non possono tollerare la dipendenza del partner rispetto a loro” (Kernberg, 1995, p.174).

La relazione diventa così carica di risentimento se non di odio, l’indifferenza per i bisogni dell’altro può diventare indifferenza sessuale e i membri della coppia finiscono per allontanarsi.


A questo punto, secondo la mia esperienza, si aprono due possibili scenari.

Nel primo caso, se entrambi i partner hanno aspetti narcisistici (che tendono quindi allo sfruttamento reciproco) la relazione sopravvive, se pur a fatica, vengono trovati dei compromessi che vanno a sostituire o riempire il vuoto emotivo e il rapporto si stabilizza su aspetti legati al ruolo sociale, al benessere economico o alla crescita dei figli.

Nel secondo caso, il partner svalutato, interrompe o manifesta l’intenzione di interrompere la relazione e spinge, più o meno esplicitamente, il narcisista a sottoporsi a una psicoterapia.

In alcuni casi favorevoli, il narcisista si avvicina alla terapia con sincero interesse, consapevole dell’angoscia che provoca nella compagna (o compagno) dimostrando così di essere intenzionato a cambiare.

La motivazione al trattamento diviene l’elemento prognostico più importante e uno dei fattori che può sostenerla risulta l’età. Infatti, solo dopo numerosi fallimenti in cui il paziente ha sperimentato la perdita di persone che lo amavano in modo franco, potrà mettere seriamente in discussione la sua grandiosità e preoccuparsi per la propria salute mentale. In genere, la psicoterapia di pazienti narcisisti di quaranta o cinquanta anni ha una prognosi migliore rispetto al trattamento di pazienti più giovani.

Altro elemento prognostico favorevole è la capacità di riconoscere l’invidia provata nei confronti del partner, ce lo dice Kernberg, che nel suo famoso libro “Relazioni d’amore” esplora in profondità le vicissitudini delle relazioni di coppia. Secondo l’autore, quando il narcisista riesce ad associare all’aggressività l’invidia, questo è segno di una crescente consapevolezza circa la propria responsabilità nei conflitti e nella sofferenza degli altri, in questi casi: “il miglioramento è caratterizzato da una profonda sofferenza, durante la quale il paziente può riconoscere ed elaborare l’aggressività, il desiderio di contrastarne gli effetti e di riparare al danno che ha commesso nella realtà o nella fantasia” (Kernberg, 1995, p.186).

Ma in altri casi meno favorevoli, presentarsi allo psicoterapeuta per qualche sporadica seduta diviene l’alibi perfetto per poter perpetrare il controllo onnipotente della relazione.

Anche in terapia verranno messi in atto, a danno del terapeuta, i temi tipici del narcisista: la svalutazione, l’invidia, la dipendenza vissuta come umiliazione, la competizione, il disprezzo e il rigetto per qualsiasi cosa che potrebbe imparare dallo psicoterapeuta.

Sono questi i casi più complessi, quelli che a mio modo di intendere la psicoterapia, richiedono un lungo e difficile percorso. Sono i casi in cui è impossibile applicare un protocollo manualizzato sintomo-specifico, ma che richiedono piuttosto un processo creativo, alimentato dall’intuizione e dalla curiosità, che permetta di entrare con cautela nella vita intima di un altro essere umano.

A mio parere, quando si procede con una delicata confrontazione sulle funzioni difensive che la grandiosità svolge rispetto alla spaventosa fragilità di base, congiuntamente a un’analisi sistematica della costellazione familiare e delle relative esperienze precoci, si arriva a forme più mature di espressione dei bisogni emotivi: insomma, la vita si ricongiunge al senso, direbbe Freud.


Con il tempo, emerge gratitudine per la pazienza del terapeuta e si prospetta la possibilità di una dipendenza autentica nei confronti del partner amorevole.

Sono questi i casi in cui l’obiettivo del trattamento è trasformare la tempesta tumultuosa delle relazioni, nella calma alleanza terapeutica.



Bibliografia


Bleichmar, H. (1997). Psicoterapia Psicoanalitica. Astrolabio, Roma (2008).


Freud, S. (1931). Sessualità femminile. In Opere, vol. 11, Bollati Boringhieri, Torino (1974).


Kernberg, O.F. (1995). Relazioni d’amore. Raffaello Cortina Editore, Milano (1995).


Kernberg, O.F. (2012). Amore e Aggressività. Giovanni Fioriti Editore, Roma (2013).

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