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L'Identificazione Emozionale


Psicologo Firenze | Dott. Cosimo Santi | L'Identificazione Emozionale

Mary Cassatt, Nurse and Child, 1896-97, Metropolitan Museum of Art.

La psicoanalisi contemporanea ci ha insegnato a pensare alle strutture psichiche e al loro sviluppo in termini intersoggettivi. Questo significa che le credenze che guidano il pensiero dell'uomo, come anche ciò che con una certa approssimazione chiamiamo affetti, non si costituiscono esclusivamente a partire da un registro naturale.

Anzi, la ricerca sperimentale e naturalistica incentrata sulle primissime interazioni tra il bambino e sua madre ci porta a considerare lo sviluppo della personalità all'interno di un complesso processo di identificazioni con l'altro significativo (Schore, 2003). Dove per identificazione intendiamo “sentire come sente l'altro”, entrare cioè nella sua mente in modo da avere una traccia orientativa su come adattarsi a lui.

Si può intuire che tali evidenze hanno un forte impatto sulla clinica dei disturbi psicopatologici. Certi sintomi possono non avere origine nei conflitti inconsci o nelle pulsioni aggressive e sessuali, ma costituirsi a partire dall'identificazione con l'altro: l'angoscia, i timori e i sintomi possono essere quelli dell'altro.

Secondo Bleichmar il bambino preso nell'abbraccio del genitore, immerso quindi nel contesto dell'identificazione, rimane coinvolto in un mondo di significati a cui è difficile sfuggire. “Un mondo fobico o ossessivo, un modo di visioni paranoidi, di preoccupazioni ipocondriache, di sensi di colpa, di visioni fantastiche relative ai pericoli (…) Queste rappresentazioni impregnano progressivamente lo psichismo, contribuiscono alla genesi delle fantasie e trovano espressione nella sintomatologia del soggetto” (Bleichmar, 1997 p.156).

Al tempo stesso il bambino capta le manifestazioni corporee che accompagnano le rappresentazioni in chi lo sta abbracciando: la tensione muscolare, un certo tipo di sguardo o un certo modo di respirare (ad esempio un sospiro angosciato). Poiché questi stati fisiologici sono associati agli stati emozionali dell'adulto, il piccolo li apprenderà come si apprendono i fonemi di un linguaggio.

In altre parole, l'identificazione emozionale coinvolge il corpo e le sue reazioni fisiologiche, al di là dei gesti e dei comportamenti apertamente osservabili.

Questo crea un doppio canale di comunicazione tra la mente e il corpo: non solo l'inconscio parla al corpo (usando anche il linguaggio dei sintomi cioè paralizzandolo, anestetizzandolo ecc.) ma sta anche ad ascoltare questo corpo e ne viene suggestionato.

La caratteristica di questa “patologia per identificazione” è il fatto che: “si presenta come un disturbo del carattere: si tratta cioè di personalità fobiche, ossessive, con fantasie paranoidi o ipocondriache fin dalla primissima infanzia, la cui struttura patologica è rintracciabile, con le differenze del caso, nella personalità dei genitori. Il che non significa che la patologia possa essere esacerbata dal conflitto (…) e neppure che non svolgono un ruolo le fantasie del soggetto, il cui mondo interno, ovviamente, non è la copia mimetica di quello dei genitori” (Bleichmar, 1997 p. 157).

L'attuale comprensione psicoanalitica sulla trasmissione inconscia dei tratti patologici della personalità, trova un importante antecedente negli studi pionieristici di Sándor Ferenczi. Segnatamente questi studi riguardarono le reazioni psicologiche nelle condizioni di trauma relazionale, in cui l'identificazione emozionale opera per far fronte al senso di impotenza e alla paura.

Come è noto fu Ferenczi a introdurre in psicoanalisi il concetto di “identificazione con l'aggressore”, considerandolo come l'estrema conseguenza di quelle situazioni traumatiche in cui un adulto maltratta un bambino (Ferenczi, 1932).

Ferenczi spiegò che i bambini terrorizzati sono costretti: ”automaticamente a sottomettersi alla volontà dell'aggressore, a indovinare tutti gli impulsi di desiderio e, dimentichi di sé, a seguire questi desideri, identificandosi completamente con l'aggressore (…) La personalità ancora debolmente sviluppata risponde al dispiacere improvviso, anziché con i processi di difesa, con l'identificazione per paura e l'introiezione di colui che minaccia o aggredisce” (Ferenczi, 1932 p. 91).

Secondo lo psicoanalista ungherese, nella mente del piccolo che subisce un abuso avviene un crollo di tutte le difese possibili con la conseguente frammentazione del suo sé. Per sopravvivere alla violenza, una parte della sua mente mette in atto il naturale processo dell'identificazione, facendo sue (introiettando, direbbe Ferenczi) le contrastanti emozioni dell'aggressore. In questo modo, dopo lo shock iniziale, il bambino tenderà a riprodurre in modo attivo (nella fantasia o nel comportamento) ciò che ha vissuto passivamente, nel tentativo di padroneggiare il possibile ritorno della minaccia esterna, percependo che questa è stata trasformata in una minaccia interna maggiormente gestibile (Frankel, 2001).

L'esempio estremo dell'identificazione con l'aggressore ci porta a riflettere su come la propensione a identificarsi con lo stato emotivo dell'altro significativo rappresenti una naturale strategia di sviluppo che il bambino mette in atto sia per sopravvivere alle condizioni traumatiche che per adattarsi alla personalità dei genitori.

Queste concezioni "intersoggettiviste” sullo sviluppo della psicopatologia, stanno avendo un forte impatto sulla psicoanalisi contemporanea, influenzandone addirittura alcune dimensioni di base.

Ad esempio, la psicoanalisi interpersonale, ridefinendo il ruolo che ha la personalità dell'analista nel processo terapeutico, ritiene che lo stesso contesto della psicoterapia sia un forte attivatore di identificazioni, sia positive che potenzialmente dannose.

Su questa linea di pensiero si colloca Frankel, autorevole interprete del pensiero di Ferenczi, che ci ricorda come l'identificazione con l'aggressore possa presentarsi anche nella relazione analitica, poiché: “un aggressore può essere chiunque abbia importanza per una determinata persona, perché inevitabilmente se uno ha un bisogno intenso di un altro gli infonde un enorme potere su di lui (…) È a causa di ciò che l'identificazione con l'aggressore si presenta anche nelle relazioni d'amore e in terapia quando c'è un transfert positivo” (Frankel, 2001 p.207).

Frankel ci mette in guardia sui possibili pericoli delle psicoterapie basate sulla presunta autorità dell'analista. Secondo l'autore, per ridurre il rischio di effetti iatrogeni dovuti alla sproporzione di potere a vantaggio dell'analista, è necessario dare spazio all'onestà, all'autenticità e alla reciprocità tra psicoterapeuta e paziente.

Il primato dell'espressione autentica di emozioni da parte dell'analista favorisce lo sviluppo dell'identificazione emozionale e consente di evitare che le dinamiche di potere inerenti alla situazione analitica possano danneggiare il paziente, ad esempio, riproducendo quei traumi relazionali che furono all'origine dei suoi sintomi.

Bibliografia

Bleichmar, H. (1997). Psicoterapia Psicoanalitica. Astrolabio, Roma (2008).

Ferenczi, S. (1931). Analisi infantile con gli adulti. Opere vol.4. Raffaello Cortina, Milano.

Frenkel, J. (2001). Identificazione reciproca con l'aggressore nella relazione analitica, in: La catastrofe e i suoi simboli, a cura di C. Bonomi e F. Borgogno. UTET Libreria, Torino.

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